- 14 nov 2016, 12:29
#3095
Su consiglio di esperti, ho realizzato che l’uso della lingua italiana è sicuramente la migliore via per la comprensione reciproca (anche se pare che nei pesi barbari al di là dei sacri confini ci siano forti resistenze; purtroppo non è più il tempo delle legioni).
Quindi, confortato dall’Accademia della Crusca, ho deciso di sostituire i barbari anglicismi e francesismi con parole presenti nei vocabolari italici.
Debbo, però, ammettere che mi sono sorti una serie di dubbi dallo scontro con una situazione linguistica in cui è presente una ibridazione che pare insormontabile. Alcuni brevi esempi.
Dovendo acquistare un comune capo di vestiario, mi sono recato in vari negozi chiedendo un paio di pantaloni di cotone pesante, di colore blu, del genere in voga nel secolo scorso per i portuali genovesi, ma , nonostante la mia dettagliata spiegazione, non sono riuscito a trovare altro che degli oggetti denominati esclusivamente blue jean, che, essendo in lingua inglese (e, oltre tutto, riportanti l’iscrizione criptica Made in ROC) , ho preferito tralasciare.
Altrettante difficoltà mi sono state poste quando, cambiato reparto del centro commerciale, ho osato chiedere un prodotto per la cura dei capelli utilizzato per rimuovere unto, sporco e particelle di pelle, inquinamento ambientale e/o altre particelle inquinanti che gradualmente si formano e depositano sui capelli. Solo dopo estenuanti discussioni ho appurato che questo oggetto deve essere richiesto esclusivamente usando l’astruso termine anglo-indiano shampoo (che sa il cielo come si pronuncia), anche se è stata ammessa l’esistenza di un neologismo italico, a mio parere piuttosto grossolano, che suona come sciampo.
Le discussioni complesse mi avevano fatto venire sete e mi sono recato in un vicino bar per assaporare una bevanda gassata al gusto di coca e altre essenze esotiche (oltre che un congruo numero di prodotti chimici...). Avessi mai detto: a momenti venivano chiamati i carabinieri equivocando sul componente vegetale.
Ripiegato su un crodino, mi sono recato poi in banca per avere informazioni sui costi e modi per un contratto atipico con cui la mia impresa potesse ottenere in locazione un mezzo da una nota casa produttrice di autoveicoli. Devo dire che solo l’intervento di un conoscente ha permesso di chiarire che tale tipo di contratto viene denominato nell’ambiente economico con una parola inglese che si scrive leasing, ma così non si pronuncia.
Essendo ormai ora, sono andato alla locale facoltà di Ingegneria per assistere ad una lezione a cui ero stato invitato. Horribile dictu, questa è stata tenuta in inglese e mi è stato pure confermato che, rinnegando la lingua di Dante, Petrarca e Mussolini, buona parte delle lezioni degli anni finali seguono questa prassi, veramente alienante.
Sono rientrato tristemente a casa e sulla metropolitana dove ho conversato con un ex tecnico della SGS-Ates che, pensate un po', affermava che in azienda, con sede ad Agrate Brianza, i fogli dati dei componenti, le applicazioni e comunque tutte le documentazioni venivano scritte in inglese e poi tradotte in altre lingue. Incredibile.
Vabbè, domani riprenderò la mia missione per far capire alla gente che al posto di hotel, part time, voucher, premier, relax, ecc sono da usare le equivalenze nell’armoniosa lingua madre.
Volete metter il caldo multivibratore astabile con l’algido flip-flop? E il delicato, dinamico, movimento angolare della particella elementare contro il barbarico spin. E, per favore, aggiungete le vocali finali: non è nè ammissibile né onesto che una parola termini con una consonante. Abbiamo combattuto per secoli germani e turchi anche per preservare la gradita vocale finale.
Ed è necessario che all’estero capiscano come l’italiano sia la lingua principe dell’Europa e i popolo dialettali come gli olandesi cessino di stupirsi quando il turista, erede della cultura latina, chiede indicazioni per arrivare a L’Aia e, una volta tradotto aia con dorsvloer, ci si trovi instradati verso la più vicina fattoria dove razzola pollame….
Quindi, confortato dall’Accademia della Crusca, ho deciso di sostituire i barbari anglicismi e francesismi con parole presenti nei vocabolari italici.
Debbo, però, ammettere che mi sono sorti una serie di dubbi dallo scontro con una situazione linguistica in cui è presente una ibridazione che pare insormontabile. Alcuni brevi esempi.
Dovendo acquistare un comune capo di vestiario, mi sono recato in vari negozi chiedendo un paio di pantaloni di cotone pesante, di colore blu, del genere in voga nel secolo scorso per i portuali genovesi, ma , nonostante la mia dettagliata spiegazione, non sono riuscito a trovare altro che degli oggetti denominati esclusivamente blue jean, che, essendo in lingua inglese (e, oltre tutto, riportanti l’iscrizione criptica Made in ROC) , ho preferito tralasciare.
Altrettante difficoltà mi sono state poste quando, cambiato reparto del centro commerciale, ho osato chiedere un prodotto per la cura dei capelli utilizzato per rimuovere unto, sporco e particelle di pelle, inquinamento ambientale e/o altre particelle inquinanti che gradualmente si formano e depositano sui capelli. Solo dopo estenuanti discussioni ho appurato che questo oggetto deve essere richiesto esclusivamente usando l’astruso termine anglo-indiano shampoo (che sa il cielo come si pronuncia), anche se è stata ammessa l’esistenza di un neologismo italico, a mio parere piuttosto grossolano, che suona come sciampo.
Le discussioni complesse mi avevano fatto venire sete e mi sono recato in un vicino bar per assaporare una bevanda gassata al gusto di coca e altre essenze esotiche (oltre che un congruo numero di prodotti chimici...). Avessi mai detto: a momenti venivano chiamati i carabinieri equivocando sul componente vegetale.
Ripiegato su un crodino, mi sono recato poi in banca per avere informazioni sui costi e modi per un contratto atipico con cui la mia impresa potesse ottenere in locazione un mezzo da una nota casa produttrice di autoveicoli. Devo dire che solo l’intervento di un conoscente ha permesso di chiarire che tale tipo di contratto viene denominato nell’ambiente economico con una parola inglese che si scrive leasing, ma così non si pronuncia.
Essendo ormai ora, sono andato alla locale facoltà di Ingegneria per assistere ad una lezione a cui ero stato invitato. Horribile dictu, questa è stata tenuta in inglese e mi è stato pure confermato che, rinnegando la lingua di Dante, Petrarca e Mussolini, buona parte delle lezioni degli anni finali seguono questa prassi, veramente alienante.
Sono rientrato tristemente a casa e sulla metropolitana dove ho conversato con un ex tecnico della SGS-Ates che, pensate un po', affermava che in azienda, con sede ad Agrate Brianza, i fogli dati dei componenti, le applicazioni e comunque tutte le documentazioni venivano scritte in inglese e poi tradotte in altre lingue. Incredibile.
Vabbè, domani riprenderò la mia missione per far capire alla gente che al posto di hotel, part time, voucher, premier, relax, ecc sono da usare le equivalenze nell’armoniosa lingua madre.
Volete metter il caldo multivibratore astabile con l’algido flip-flop? E il delicato, dinamico, movimento angolare della particella elementare contro il barbarico spin. E, per favore, aggiungete le vocali finali: non è nè ammissibile né onesto che una parola termini con una consonante. Abbiamo combattuto per secoli germani e turchi anche per preservare la gradita vocale finale.
Ed è necessario che all’estero capiscano come l’italiano sia la lingua principe dell’Europa e i popolo dialettali come gli olandesi cessino di stupirsi quando il turista, erede della cultura latina, chiede indicazioni per arrivare a L’Aia e, una volta tradotto aia con dorsvloer, ci si trovi instradati verso la più vicina fattoria dove razzola pollame….